Percorsi materici e visioni surreali di Carlo Maria Nardiello

La recherche in un artista è condizione sostanziale per muoversi nell’universo della comunicazione e dell’espressione. Un paio di rimandi alla biografia di Pippo Cosenza risultano utili a cogliere l’intimo, personale valore dell’arte, conquistato attraverso un esclusivo iter esplorativo. Siciliano di nascita, dopo aver già avviato il percorso professionale di ingegnere in Umbria, Cosenza varca le porte dell’Accademia di Belle Arti Pietro Vannucci di Perugia, conseguendo la laurea in tecniche
della scultura.L’intuizione creatrice di Cosenza costruisce un excursus congestionato di proporzioni multiple scalato lungo tutto l’arco dell’esperienza fin qui acquisita, dove è facile intuire giustificazioni autobiografiche.
Le tecniche impiegate con disinvoltura, dalla tela alla scultura passando per il collage, le architetture e le tessiture, ci restituiscono una polivalenza prima di tutto artistico – espressiva, oltreché di finalità d’intenti. Nelle serie intitolate “Scheda Madre” e “Esistenza e Simbolico” si coglie a pieno il gusto estetico di chi deliberatamente fonde il piano lirico e il piano divulgativo: su tele dalle dimensioni rispettivamente medie (50×50) e grandi (100×100) la prima persona empirica ritaglia fogli di giornali e riviste (Losservatore romano), inserendoli in strutture architettoniche vorticose e caotiche, a significare stralci e relitti di cronache umane inscritte in visioni urbane.                Nella mistura di tali opere si evidenziano accostamenti di colore in cui l’azzurro la fa quasi sempre da padrone, e piani e riquadri sovrapposti determinano una ricchezza di contenuti filologici, sempre maneggiati con abbondante materia. Nasce spontanea la voglia di passare le dita su queste tele di Cosenza per indagare e scoprire nuovi livelli di comprensione del “testo” artistico.L’impianto concettuale dell’artista palermitano si è espresso anche in opere dalla natura più tipicamente astratta. È il caso delle tele datate 2010, nelle quali si predilige un linguaggio non descrittivo ma assolutizzato,
certamente intransitivo. In quel momento artistico si riscontra la chiara facoltà, da parte del suo autore, di cambiare la realtà, fingendola e codificandola, in un panorama in cui si procede per abbattimento: delle convenzionali distinzioni di vero e falso, di bene e male, di sogno e ragione. Lo spettatore che si trovi ad assistere a queste visioni si sente aggirato in un cerchio di apparenti convinzioni e false chiarezze, grazie al coinvolgimento simultaneo di oggetti del mondo reale e di visioni intangibili, frutto della memoria personale dell’artefice.

Mozioni oniriche, quindi, che confluiscano su una scena generosa di colori freddi, amplificati dalle dimensioni lunghe  e larghe della tela.
L’efficacia rappresentativa del pittore trova ulteriore conferma in uno degli ultimi lavori (2013) dal suggestivo titolo /I cammino delluomo. Su una superficie d’acqua agisce un profilo di donna, che per prima richiama l’occhio dell’osservatore.

Come l’ebreo errante, la donna appare priva di collocazione nello spazio testuale, tuttavia confortata da una cornice che la separa nettamente dal resto dell’azione. È un sogno ad occhi aperti sul terreno dell’irreale, e il regista della rappresentazione onirica indica, quasi consiglia, alcuni degli svariati percorsi da affrontare per giungere alla meta. La destinazione, quasi sotto forma di miraggio, porta le forme e i contorni di dolmen-finestre, come fari in soccorso della viaggiatrice surreale.

Abito e velo, non esattamente occidentali, sembrano indicare una identità lontana geograficamente, in cammino verso l’ignoto, senza rivelarci il noto lasciato alle spalle.

Il “viaggio”, tema primordiale nella storia dell’uomo, la “donna”, origine della vita al pari dell’”acqua” sulla quale si muove, sono i tre nuclei ottimamente distribuiti sulla tela.

La mise en scène è perfetta, ancora una volta trattata con il tema dell’azzurro, il colore della realtà nella tradizione occidentale. Qui, come in ogni viaggio, non è dato conoscere quale sarà l’approdo: allo spettatore l’artista Pippo Cosenza affida il piacere di immaginarne di nuovi. A chi scrive piace evocare un non-approdo: «In quanto donna non ho patria, in quanto donna non voglio patria alcuna, in quanto donna la mia patria è il mondo intero» (V. Woolf, Le tre ghinee, La Tartaruga, Milano 1975).