Il Caravaggio Perduto (Pippo Cosenza)

Il Caravaggio perduto e il suo recupero virtuale

Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi è, o era, un dipinto ad olio su tela commissionato nel 1609 dalla Compagnia dei Bardigli e dei Cordiglieri, venne eseguito nello stesso anno, durante la breve sosta nel capoluogo siciliano del pittore. Nella notte tra il 17 e il 18 ottobre del 1969 l’opera viene trafugata nella totale assenza di misure di sicurezza e non è stata mai più recuperata.

“Ne la natività ritrovato ho lo meo verde, lo meo bel rutilante verde”.

È con questa frase riferita al colore del manto di Giuseppe che Andrea Camilleri ne Il colore del sole, descrive la distensione del Caravaggio, la breve tranquillità ritrovata durante il suo soggiorno a Palermo. Anche in questo dipinto il realismo di Caravaggio rende “vero” l’episodio della nascita di Cristo e come per la Madonna dei Pellegrini in Roma tutti i personaggi hanno le sembianze degli emarginati che ben conosce, ogni personaggio è colto in un atteggiamento spontaneo: San Giuseppe ci volge le spalle ed è avvolto in uno strano manto verde. La presenza di San Francesco è sicuramente un tributo all’Oratorio, che all’epoca era passato alla Venerabile Compagnia a lui devota. La figura a sinistra è San Lorenzo. La Madonna, qui con le fattezze di una donna comune, ha un aspetto estremamente malinconico, e forse già presagisce la fine del figlio, posto sopra un piccolo giaciglio di paglia. La testa del bue è chiaramente visibile, mentre l’asino si intravede appena. Proprio sopra il bambino vi è infine un angelo planante, simbolo della gloria divina. Ciò che conferisce particolare drammaticità all’evento è il gioco di colori e luci che caratterizzano questa fase creativa del pittore.

Figura 1. Palermo. S. Lorenzo, Natività. Caravaggio. 1609 ca.

La natività era un capolavoro assoluto il suo furto è emblematico di una diffusa sconfortante disattenzione, superficialità e ignoranza. È  ancora più triste il fatto che questo clima di ignoranza e pressapochismo  era retaggio dei politici e delle autorità ecclesiastiche, di quegli organi[1] preposti a custodire l’opera che ne avrebbero dovuto conoscere l’unicità e l’importanza o almeno l’esistenza, non dico per una conoscenza diretta visto che l’oratorio era aperto al pubblico, ma almeno per superficiali letture di innumerevoli guide[2], escludendo la possibilità che siffatte persone potessero conoscere le  recensioni sull’opera fatte da Berenson e da Longhi.

Più attenta alla storia e ai monumenti di Palermo si dimostra invece la mafia che può sottrarre la tela in assoluta tranquillità. Ho raccolto due interessanti documenti: Il primo, una pagina scritta da Leonardo Sciascia; il secondo riguarda la testimonianza del pentito Francesco Marino Mannoia durante il processo Andreotti, svoltosi a Palermo nel 1996.

Da “Nero su Nero“, Leonardo Sciascia, 1979

“A Palermo da pochi anni, – dice il giornale – il prefetto non era mai stato informato che nella nostra città fosse custodita (cioè incustodita) una tela del Caravaggio”. L’informazione gli era venuta da un rapporto della questura: quando la tela nell’Oratorio della Compagnia di San Francesco, noto (cioè ignoto) come Oratorio di San Lorenzo, non c’era più, furata non si sa quante ore o giorni prima che le due donne addette a (non) custodirla se ne accorgessero. Questa dichiarazione del prefetto, nella storia della Natività del Caravaggio rubata con tanta facilità, senza applicazione di ingegno e di congegno, debbo confessare che mi appassiona. Vediamo: chi avrebbe potuto o dovuto informare il prefetto dell’esistenza del quadro? Negli organici della prefettura non pare che ci sia qualcuno che abbia il ruolo di dare ai prefetti che si avvicendano informazioni del genere. S’appartiene dunque ai doveri del sovrintendente? Nemmeno. Del sindaco, dell’assessore alla pubblica istruzione, del presidente dell’amministrazione provinciale? Assolutamente no (e per sua parte, anzi, il presidente dell’amministrazione provinciale ha dichiarato: “Sono un appassionato dell’Opera del Caravaggio, eppure non ho mai saputo che a Palermo esistesse la Natività”.

Testimonianza del pentito di mafia Francesco Marino Mannoia.

Breve estratto della testimonianza di Francesco Marino Mannoia all’udienza del processo Andreotti del 5 novembre 1996 nella quale afferma di aver rubato il quadro e di averlo distrutto.

P.M. SCARPINATO:Senta, lei sa se Calò conosceva Andreotti?

MANNOIA F.: io non so personalmente se Calò conoscesse direttamente il Senatore Andreotti. Ma qualcosa ci doveva essere.

P.M. SCARPINATO: perchè

MANNOIA F.: perché vi è stat… vi fu un interessamento da parte del Bontade, da parte del Calò, perché il Senatore Andreotti andava pazzo per un quadro. Un quadro particolare nel suo genere. Io mi ricordo che eravamo da Magliocco, eravamo in tanti uomini d’onore lì, che spesso face… pranzavamo lì, e il Bontade, poiché; sapeva che io e altri uomini d’onore in precedenza ci eravamo occupati anche, anche… anche di furto, su commissione di quadri d’autore, e noi eravamo interessati a furti di quadri di valore come, che so, quadri di Guttuso, quadri di Grasso, quadri di Novella Parigini e avevamo commissionato anche il furto di Antonello da Messina. Io stesso, insieme ad altri, abbiamo rubato il quadro il Caravaggio, e io informai nelle mie prime dichiarazioni il Dottor Falcone il quale aveva sentito alla radio che c’erano un gruppo di questi amanti del, diciamo, di quadri della natura, di queste cose del Caravaggio, interessate, eventualmente a fare qualche, qualche ricompensa a chi avrebbe dato notizie utili sul Caravaggio, e io dissi al Dottore Falcone di far sapere a queste persone che il Caravaggio era andato distrutto perché nel modo in cui era stato arrotolato, quando poi l’acquirente lo doveva… l’ha visto, si è messo a piangere e non… non era più in condizioni di essere utilizzato. E quindi il Bontade ci chiese a noi se conoscevamo o avevamo la possibilità di… di poterci interessare per… per un acqui… l’acquisto di questo quadro in particolare che aveva delle… aveva dato delle caratteristiche. Io non ricordo il nome, era esattamente un italiano. Non mi ricordo, Grassi, Rossi, non mi ricordo il nome dell’autore. Adesso è passato tanto tempo. Poi dopo un periodo di tempo, vidi il Bontade che era molto contento, contento e ci aveva detto di non interessarci più perché quel quadro era stato, diciamo, l’avevano trovato tramite un antiquario, amico di Calò che viveva qua a Roma e quindi l’avevano trovato e fatto avere al Senatore Andreotti.

Il furto della tela, ha suscitato l’interesse di Sciascia, della cronaca e di altri scrittori[3], ma non ha dato subito origine agli interventi di restauro dell’’oratorio che si sono conclusi dopo più di trenta anni di alterne vicende burocratiche  e non  si è riusciti neanche ad evitare che si commettessero altri furti, come la sottrazione di elementi scultorei dei rilievi prospettici del Serpotta.

Il recupero virtuale

Il 7 gennaio del 2005, in un’atmosfera molto suggestiva ed evocativa l’invenzione scientifica diventa linguaggio estetico. Nella cornice rimasta vuota dell’’altare attraverso un gioco di specchi e di proiezioni  si può rivedere il grande dipinto nella sua collocazione originaria, tra gli stucchi del Serpotta. È   una apparizione virtuale del quadro, la tecnica laser ha operato il miracolo, per il tempo dell’’istallazione[4] ci siamo illusi che la pala d’altare fosse tornata al suo posto. Un trucco della tecnica ha sostanzializzato un sogno, l’immateriale diventa consistenza visibile, dà, seppure virtualmente, consistenza ad un sogno e questo sogno diventa ancora più coinvolgente quando ogni spettatore munito di una piccola tela bianca ricevuta all’ingresso può catturare frammenti dell’immagine del dipinto, che volteggiano in aria, invisibili, insieme a testi di commento e di critica sul Caravaggio, con l’ausilio di alcuni proiettori. A questo punto puoi decidere cosa inquadrare, un frammento del grande dipinto, S. Lorenzo, S. Francesco, o tutto quello che vuoi, o puoi catturare, rivive fra le tue mani e anche se virtualmente lo puoi sentire tuo, per un istante ti appartiene fa parte di te, del tuo mondo, della tua sfera sensibile, della tua percezione. La tecnologia si fa arte diventa capace di coniugare l’antico e il contemporaneo annullando i tempi della storia e ogni spettatore è il protagonista, è l’artista: le pareti dell’’oratorio, gli stucchi e le allegorie del Serpotta ruotano intorno a lui, la tela che ha fra le mani sono il punto di convergenza e di fuga della sua opera. Centinaia di tele come tante superfici rifrangenti producono, moltiplicano, disseminano, frammentano secondo inedite e sghembe prospettive, casuali frammenti della Natività, delle citazioni, dei commenti, una molteplicità di rimandi, componenti virtuali di una nuova condizione del presente e dell’’esistere, del crollo di una visione unica, di una prospettiva definita e armonica a favore di una realtà caotica, molteplice e incontrollabile, di un mondo dove le figure umane, come le schegge casualmente catturate della Natività, sono assorbite e negate, abitanti di anonimi caseggiati, di città ormai disaggregate e degradate. L’installazione realizzata all’interno dell’’oratorio che fa arte attraverso l’arte servendosi di centinaia di tele specchianti diventa a sua volta, forse inconsapevolmente, specchio della nostra società e della nostra cultura, ma è anche la materializzazione di un sogno e l’auspicio per un sempre più improbabile ritrovamento.

 


[1] Dalle cronache del Giornale di Sicilia risulta che l’esistenza del quadro era del tutto sconosciuta non solo al prefetto in carica nella città da cinque anni, ma era sfuggita anche al presidente della amministrazione provinciale, che si professava appassionato cultore e conoscitore dell’opera di Caravaggio.

[2] Quella del cavaliere Don Gaspare Palermo pubblicata nel 1816 e aggiornata dal Di Marzo – Ferro nel 1859 in cui si legge che nell’Oratorio c’è un quadro “della nascita di Gesù Cristo con San Lorenzo e San Francesco, insigne lavoro del famoso pennello di Michelangelo da Caravaggio”; quella del Touring Club Italiano, sempre ristampato ed aggiornato; quella del Bellafiore, molto ben fatta e agile.

[3] Giuseppe Quatriglio, Il muro di vetro edito nel 2005 da Flaccovio. Quatriglio è un erudito giornalista scrittore nato a Catania nel 1922, che ha pubblicato parecchi testi che hanno per argomento la Sicilia, la sua, storia, i suoi costumi.

[4] L’ installazione, dal titolo Touch Screen: 04 – In Quadro, prodotta dall’ Associazione dei musei siciliani nell’ ambito di Kals’ Art Winter, realizzata da Antonio Venti e i gruppi “Ma0″ e “Formazero”,  rimarrà visibile dal 7 gennaio al 16 gennaio del 2005 ogni giorno dalle 18 alle 20,30.